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La Stimolazione magnetica transcranica riduce ansia e depressione 

Grazie a dispositivi sempre più avanzati, che oggi i pazienti possono usare anche a casa propria, è possibile migliorare il tono dell’umore. Quali sono, come si esegue il trattamento, quali miglioramenti aspettarsi: risponde Federica Peci, esperta di biotecnologie per la riabilitazione cerebrale

Depressione, ansia e apatia sono i disturbi dell'umore più comuni tra i pazienti con Parkinson. Possono manifestarsi sin dall’inizio, anche prima della comparsa dei classici sintomi motori oppure dopo ma, secondo i dati, circa la metà dei pazienti ci fa i conti. Secondo gli studi non sono strettamente correlati con il grado di invalidità che la malattia col tempo porta con sé bensì con il mal funzionamento dei circuiti cerebrali dopaminergici e non dopaminergici, e con l'infiammazione cerebrale. «L’umore che va giù è tra i principali fattori che peggiorano la qualità della vita dei pazienti con Parkinson in quanto influenzano negativamente la capacità cognitiva, lo stato funzionale e l'aderenza alle terapie» spiega Federica Peci​, psicologa esperta in Neuroscienze cliniche per la riabilitazione cognitiva. 

Come si possono ridurre i sintomi? 
«Innanzitutto si ricorre ai farmaci come gli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina, gli antidepressivi triciclici e altri ancora. A questi poi vanno aggiunti percorsi di riabilitazione neuromotoria per ottimizzare ancora di più i benefici. In particolare la Stimolazione Magnetica Transcranica è la metodica grazie alla quale si sono raggiunti i risultati più soddisfacenti dato che agisce proprio sui circuiti cerebrali dopaminergici e non dopaminergici e sull’infiammazione cerebrale, quindi sul cuore del problema. 
La dopamina, infatti, gioca un ruolo cruciale sia nel sistema motorio che nei circuiti cerebrali. Se nella malattia di Parkinson, la deplezione dopaminergica compromette queste funzioni portando l'alterazione, la Stimolazione Magnetica Transcranica aiuta a rimetterle a posto, per intenderci è come se desse una “spinta” ai neuroni per farli lavorare in modo più efficace e ripristinare alcune funzioni danneggiate». 

Come si effettua un trattamento di Stimolazione magnetica transcranica?
«In estrema sintesi il dispositivo invia un impulso attraverso il cuoio capelluto creando un campo magnetico che attiva le cellule nervose. Con il tempo, ripetendo la stimolazione, i neuroni possono creare nuove connessioni o rafforzare quelle esistenti, migliorando la comunicazione tra le varie aree del cervello».

Quanto dura il trattamento? È sicuro?
«Durata e altre caratteristiche cambiano a seconda del dispositivo usato. La biotecnologia messa a punto da Cerebro®, la fTMS®, è brevettata a livello internazionale come innovativa e fortemente rispettosa della fisiologia umana: con il nostro dispositivo il trattamento è indolore, non invasivo, si esegue da seduti e dura circa 20 minuti. Come primo approccio si eseguono 10 sedute a cadenza mono o bisettimanale, a seconda del paziente, per poi valutare i risultati e proseguire con le sedute di mantenimento. Non richiede anestesia né tempi di recupero dopo la seduta, il paziente può immediatamente tornare alla sua quotidianità. Anzi, il nostro dispositivo essendo particolarmente pratico, maneggevole e sicuro, può essere utilizzato perfino dal paziente stesso a casa sua, sotto la supervisione del medico. Un plus che, come abbiamo visto dai risultati, velocizza il miglioramento dei sintomi anche perché al paziente risulta più facile rispettare modi e tempi della terapia».

Che tipo di miglioramenti si possono aspettare?
«Già dal 2018 su The Lancet veniva riportato che il 47% dei pazienti trattati con Stimolazione Magnetica Transcranica per depressione maggiore causata da Parkinson rispondeva alla terapia e il 27% registrava la remissione dei sintomi. Oggi i numeri sono anche decisamente più alti, grazie ai dispositivi ancora più avanzati e a protocolli di stimolazione personalizzati su misura dei pazienti». 

Si può guarire dal Parkinson?
Riuscire ad ottenere una riduzione di ansia e depressione non significa curare la malattia. Ad oggi non esiste una cura definitiva che blocchi i meccanismi di neurodegenerazione e porti il paziente alla guarigione, però agire sul tono dell’umore significa migliorare di molto la qualità di vita del paziente e rallentare il percorso in discesa. Il consiglio è di affidarsi sempre a professionisti esperti che possano guidare l’intero nucleo familiare a farlo nel modo più adeguato.

Autore: Cerebro Srl 18 set, 2024
Grazie a dispositivi sempre più avanzati, che oggi i pazienti possono usare anche a casa propria, è possibile migliorare il tono dell’umore. Quali sono, come si esegue il trattamento, quali miglioramenti aspettarsi: risponde Federica Peci, esperta di biotecnologie per la riabilitazione cerebrale Depressione, ansia e apatia sono i disturbi dell'umore più comuni tra i pazienti con Parkinson. Possono manifestarsi sin dall’inizio, anche prima della comparsa dei classici sintomi motori oppure dopo ma, secondo i dati, circa la metà dei pazienti ci fa i conti. Secondo gli studi non sono strettamente correlati con il grado di invalidità che la malattia col tempo porta con sé bensì con il mal funzionamento dei circuiti cerebrali dopaminergici e non dopaminergici, e con l'infiammazione cerebrale. «L’umore che va giù è tra i principali fattori che peggiorano la qualità della vita dei pazienti con Parkinson in quanto influenzano negativamente la capacità cognitiva, lo stato funzionale e l'aderenza alle terapie» spiega Federica Peci​, psicologa esperta in Neuroscienze cliniche per la riabilitazione cognitiva. Come si possono ridurre i sintomi? «Innanzitutto si ricorre ai farmaci come gli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina, gli antidepressivi triciclici e altri ancora. A questi poi vanno aggiunti percorsi di riabilitazione neuromotoria per ottimizzare ancora di più i benefici. In particolare la Stimolazione Magnetica Transcranica è la metodica grazie alla quale si sono raggiunti i risultati più soddisfacenti dato che agisce proprio sui circuiti cerebrali dopaminergici e non dopaminergici e sull’infiammazione cerebrale, quindi sul cuore del problema. La dopamina, infatti, gioca un ruolo cruciale sia nel sistema motorio che nei circuiti cerebrali. Se nella malattia di Parkinson, la deplezione dopaminergica compromette queste funzioni portando l'alterazione, la Stimolazione Magnetica Transcranica aiuta a rimetterle a posto, per intenderci è come se desse una “spinta” ai neuroni per farli lavorare in modo più efficace e ripristinare alcune funzioni danneggiate». Come si effettua un trattamento di Stimolazione magnetica transcranica? «In estrema sintesi il dispositivo invia un impulso attraverso il cuoio capelluto creando un campo magnetico che attiva le cellule nervose. Con il tempo, ripetendo la stimolazione, i neuroni possono creare nuove connessioni o rafforzare quelle esistenti, migliorando la comunicazione tra le varie aree del cervello». Quanto dura il trattamento? È sicuro? «Durata e altre caratteristiche cambiano a seconda del dispositivo usato. La biotecnologia messa a punto da Cerebro®, la fTMS®, è brevettata a livello internazionale come innovativa e fortemente rispettosa della fisiologia umana: con il nostro dispositivo il trattamento è indolore, non invasivo, si esegue da seduti e dura circa 20 minuti. Come primo approccio si eseguono 10 sedute a cadenza mono o bisettimanale, a seconda del paziente, per poi valutare i risultati e proseguire con le sedute di mantenimento. Non richiede anestesia né tempi di recupero dopo la seduta, il paziente può immediatamente tornare alla sua quotidianità. Anzi, il nostro dispositivo essendo particolarmente pratico, maneggevole e sicuro, può essere utilizzato perfino dal paziente stesso a casa sua, sotto la supervisione del medico. Un plus che, come abbiamo visto dai risultati, velocizza il miglioramento dei sintomi anche perché al paziente risulta più facile rispettare modi e tempi della terapia». Che tipo di miglioramenti si possono aspettare? «Già dal 2018 su The Lancet veniva riportato che il 47% dei pazienti trattati con Stimolazione Magnetica Transcranica per depressione maggiore causata da Parkinson rispondeva alla terapia e il 27% registrava la remissione dei sintomi. Oggi i numeri sono anche decisamente più alti, grazie ai dispositivi ancora più avanzati e a protocolli di stimolazione personalizzati su misura dei pazienti». Si può guarire dal Parkinson? Riuscire ad ottenere una riduzione di ansia e depressione non significa curare la malattia. Ad oggi non esiste una cura definitiva che blocchi i meccanismi di neurodegenerazione e porti il paziente alla guarigione, però agire sul tono dell’umore significa migliorare di molto la qualità di vita del paziente e rallentare il percorso in discesa. Il consiglio è di affidarsi sempre a professionisti esperti che possano guidare l’intero nucleo familiare a farlo nel modo più adeguato.
Autore: Cerebro Srl 30 nov, 2023
Nel nostro Paese nei primi mesi del 2022 si sono registrate 1,66 milioni di dimissioni. Come risulta dalle tabelle della nota trimestrale sulle comunicazioni obbligatorie del ministero del Lavoro si tratta in larghissima parte di dimissioni volontarie. Anche i dati di altre fonti sono in linea con il risultato: l’Osservatorio sul precariato dell’Inps sempre nel 2022, ha censito 1.255.706 persone che si sono dimesse da un contratto stabile, ovvero circa 240.000 in più rispetto al 2019. La tendenza non è soltanto italiana ma globale. Negli Stati Uniti secondo il Bureau of Labor Statistics, lo scorso anno hanno dato le dimissioni 50 milioni di lavoratori. La fuga dal lavoro dei manager Per gli esperti a spingere a lasciare sono principalmente tre ragioni: l’esigenza di cercare una migliore retribuzione, quella di riuscire a conciliare i tempi lavorativi con le esigenze familiari e lo stress che causa la gestione del lavoro. Ecco perché le grandi dimissioni riguardano anche i capi, a maggior ragione pressati dal ruolo che occupano. Secondo Bloomberg gli amministratori delegati stanno lasciando il posto di lavoro a ritmo da record. Tra i settori più toccati dalle dimissioni sono quello governativo, no-profit e ospedaliero. «Non a caso a risentirne sono settori ad altissimo stress» interviene Federica Peci, psicologa, esperta dell’area neuropsicologica, ricercatrice in Neuroscienze cognitive e docente alla Scuola di Neuroscienze®. «Sotto il carico di responsabilità e di rappresentanza, dell’importante potere decisionale, con pressanti incombenze organizzative, di gestione del personale, si finisce per cedere e ritirarsi. In condizioni di equilibrio il cervello mette in atto delle strategie per gestire le situazioni di conflitto e migliorare l’approccio al lavoro ma qualche volta si perdono, qualche altra non si conoscono affatto». Imparare a gestire lo stress con l’aiuto delle Neuroscienze La buona notizia è che in ogni caso si possono imparare (o re-imparare). «Attraverso percorsi di crescita e formazione si possono acquisire e sviluppare le capacità e attitudini che servono per mantenere umanità, empatia ed equilibrio in tutto ciò che si fa». Le Neuroscienze aiutano: «Ricoprire ruoli di rappresentanza, più o meno onerosi, dal CEO della piccola azienda all’amministratore delegato di grandi multinazionali, fa spesso sentire soli con grandi responsabilità che cambiano la vita, non solo dell’azienda ma di tutte le persone che la compongono» continua la dottoressa Peci. «Le Neuroscienze aiutano a capire cosa succede e tanto basta spesso per acquisire consapevolezza e farci sentire meno soli, in balia dell’ignoto». Il corso della Scuola di Neuroscienze® La Scuola di Neuroscienze® di Milano organizza un corso appositamente per tutti quei professionisti che hanno bisogno di riprendere le redini della vita professionale, salvaguardando il benessere mentale e fisico. «Siamo già alla seconda edizione del corso intensivo “Negoziare con le Neuroscienze®”, rivolto a tutti: a chi conosce già la materia e vuole osservare e capire la loro funzione anche in ambito lavorativo o aziendale, e a chi fa parte del mondo aziendale-manageriale e cerca nelle Neuroscienze nuove prospettive di crescita personale e professionale» fa sapere il dottor Samorindo Peci, direttore scientifico e docente della Scuola di Neuroscienze®. Il corso prevede 4 giorni di formazione, a Milano, dal 26 al 29 gennaio 2014. (Per fino e iscrizioni clicca qui ) Conoscere il cervello per ottimizzare le risorse Tra gli argomenti trattati: il carisma; i segni che diventano comunicazione; i nervi cranici; i conflitti e le tecniche di azzeramento dello stress emozionale. «Conoscere i meccanismi che sottendono le relazioni, sapere quali aree cerebrali interagiscono nelle comunicazioni significa anche avere la possibilità di imparare a sfruttare queste conoscenze a proprio vantaggio per conquistare e fidelizzare i clienti, ottimizzare le proprie risorse e imparare a gestire conflitti e stress» conclude il dottor Peci.
Autore: Cerebro Srl 07 nov, 2023
“Sarà solo stress”. Quanto lo abbiamo detto o sentito? “Solo stress” come se non fosse così importante. Per definizione è una reazione che si manifesta quando si percepisce uno squilibrio tra le sollecitazioni ricevute e le risorse a disposizione. La scienza oggi dice, ribadisce e conferma che non solo è importante, ma lo è in modo tale da potersi ripercuotere su ogni aspetto della vita. Il ventaglio delle conseguenze che l’eccesso di stress alla lunga può innescare, a vari gradi, va dalla capacità di ricordare e gestire le emozioni fino allo sviluppo di disturbi neurologici. Ne possono risentire il ciclo sonno-veglia, l’umore, con perdita di piacere e interesse nelle cose, la concentrazione, la salute vascolare. «L’elenco delle problematiche indotte da una condizione di stress prolungato è più lunga di quanto si possa immaginare, anche se ancora oggi si fa poco per adottare strategie di gestione efficaci per ridurlo» interviene Federica Peci, neuropsicologa, esperta di biotecnologie per la riabilitazione cerebrale e la prevenzione sana, CEO di Cerebro®. Ne soffrono 9 italiani su 10 Il problema è su vasta scala tanto che oggi lo stress è considerato dagli esperti un’epidemia. Stando i dati ne soffrono 9 italiani su 10. Per questo, per mettere tutti al corrente dei rischi causati dall’eccesso di stress l'International Stress Management Association ha istituito lo “Stress Awareness Day”, una giornata per la consapevolezza dello stress, che ricorre il 7 novembre. A Milano, all’interno del Congresso Internazionale Hands On di Medicina, Odontoiatria, Ginecologia e Medicina Estetica, organizzato da IAPEM, venerdì 3 novembre è stata dedicata una giornata a tema. Il dottor Samorindo Peci, la dottoressa Federica Peci e la dottoressa Rosjana Pica, sono intervenuti con un focus sul legame tra stress e cervello, esaminandolo da diversi punti di vista: dalla fisiologia all’alimentazione, passando per i neuroni. A chi rivolgersi I sintomi più comuni dello stress sono vari: mal di testa, mal di stomaco, caduta di capelli, tic, ansia, insonnia, perdita del controllo delle proprie emozioni. Riconoscere questi campanelli di allarme è un buon primo passo poi bisogna prendere in mano le redini della situazione. Ma a chi rivolgersi? «Il neuropsicologo è una delle figure di riferimento» risponde Federica Peci. «Attraverso la valutazione neuropsicologica valuta i livelli di attenzione, memoria, la capacità di gestire più compiti allo stesso momento, questo serve a individuare le eventuali aree deficitarie e i punti di forza e stabilire, se necessario, un piano di stimolazione o potenziamento cognitivo». Una risorsa dalla Fotobiomodulazione transcranica Particolari tecniche di rilassamento, insieme all’indicazione di svolgere esercizio fisico in modo regolare, possono aiutare ad alleviare lo stress, ma la ricerca messa in campo dalle Neuroscienze offre la possibilità attraverso le biotecnologie di sfruttare tecniche efficaci per ridurne i livelli. «Quando le nostre cellule cerebrali (neuroni) sono affaticate e “stressate” perdiamo la nostra lucidità mentale, la nostra capacità di ragionamento multitasking e ci spaventiamo perché pensiamo di avere problemi di memoria, quando in realtà non è così. In assenza di patologie neurologiche si può ricorrere alla Fotobiomodulazione transcranica . La luce nel vicino infrarosso, a una determinata lunghezza d’onda, innesca una serie di cambiamenti biochimici e fisiologici a cascata: potenzia i sistemi antiossidanti, protegge dalla tossicità cerebrale, promuove la formazione di nuovi neuroni e nuove sinapsi, aumenta l’ossigenazione cerebrale e favorisce l’eliminazione di sostanze tossiche. In altre parole riduce la sintomatologia che aveva messo in allarme». L’importanza dell’alimentazione Anche l’alimentazione svolge un ruolo importante nella gestione dello stress, come spiega Rosjana Pica, biologa, esperta in Nutrizione ed executive researcher di Cerebro®. «Quando siamo stressati, il sistema nervoso autonomo che regola la risposta tipica del “combatti o fuggi” è iperattivato. Questo crea degli scompensi nel corpo che così produce una dose maggiore di agenti ossidanti, causa dell’invecchiamento, e indebolisce i sistemi che ci proteggono. Per far fronte a una situazione del genere occorre aumentare il consumo di alimenti ricchi di vitamina C come kiwi, fragole e peperoni, e vitamine del gruppo B presenti nelle verdure a foglia verde, nei legumi e nei cereali integrali. Occorre anche porre attenzione ai sali minerali, come Magnesio e Zinco, importanti per la corretta trasmissione degli impulsi nervosi e per mantenere in equilibrio il sistema immunitario. Inoltre, può essere utile consumare alimenti che “favoriscono il rilassamento”. Tra questi ritroviamo mandorle, noci brasiliane, banane, uova, yogurt e cioccolato, ricco di triptofano da cui viene prodotta la serotonina, l’ormone del buonumore».
Autore: Cerebro Srl 31 lug, 2023
In questo webinar la dottoressa Rosjana Pica, biologa ed executive researcher di Cerebro®, illustra il funzionamento di NIR Infrared, il primo dispositivo medicale (classe IIa con certificazione CE) immesso sul mercato da Cerebro® . Cosa è la fotobiomodulazione transcranica NIR Infrared è un dispositivo di fotobiomodulazione transcranica, una tecnologia non invasiva e indolore. Come spiega la dottoressa Pica è una biotecnologia che si basa sull’esposizione dei tessuti del cervello alla luce, a una lunghezza d’onda nel vicino infrarosso. Lo spettro della luce ha, infatti, diverse frequenze: noi riusciamo vedere quelle racchiuse nello spettro del visibile, che va dal blu al rosso, oltre si trovano, da un lato luce ultravioletta, dall’altro l’infrarosso e il vicino infrarosso. La luce nel vicino infrarosso – sulla testa– è in grado di attraversare una serie di strati che includono lo scalpo, le ossa del cranio, le meningi (membrane che rivestono il cervello) fino ad arrivare sulla superficie più esterna del cervello: sulla corteccia cerebrale. Come risulta da un’ampia letteratura scientifica, illuminare le cellule del cervello con una luce nel vicino infrarosso aumenta l’attività dei neuroni e migliora le funzioni cerebrali. A chi serve NIR Infrared È un valido aiuto in caso di riabilitazione di patologie neurologiche. Per pazienti con trauma cranico, vasculopatia cerebrale, demenze, cefalee, disturbi del sonno, dell’umore, ma anche in patologie neurodegenerative. Sul Parkinson è in uscita uno studio scientifico condotto da Cerebro® che conferma gli effetti benefici del dispositivo (soprattutto nella sfera motoria e cognitiva). Anche e soprattutto in assenza di patologia, NIR Infrared è utile per prevenire patologie neurologiche e avere invecchiamento sano. Il dispositivo viene utilizzato da professionisti sanitari, seguendo protocolli validati scientificamente. Effetti visibili di NIR Infrared Sono confermati scientificamente su aspetti tra cui: Memoria Attenzione e concentrazione Movimento Qualità del sonno Com’è fatto il dispositivo NIR Infrared è un caschetto con all’interno 256 led (e non laser: una scelta fatta da attenti studi), divisi in due canali, che emettono luce nel vicino infrarosso e ricopre l’intera superficie cerebrale agendo sull’area motoria, premotoria e visiva e su quella esecutiva (controllo e coordinazione del sistema cognitivo) sensoriale e linguistica. Gli effetti biologici di NIR Il passaggio della luce innesca una serie di cambiamenti biochimici e fisiologici, che hanno come risposta generale l’abbassamento dell’infiammazione cerebrale. Gli effetti sono molteplici. -La luce modula gli aspetti bioenergetici e metabolici dei neuroni (Modulare è diverso da stimolare. Come spiega la dottoressa Pica, il cervello invia stimoli alle varie parti del corpo attraverso impulsi che si diffondono grazie ai nervi. Ecco, la luce del vicino infrarosso nutre le cellule del cervello proprio in modo tale che siano pronte a compiere questo sforzo necessario per inviare questi impulsi). NIR Infrared aumenta la quantità di energia all’interno dei neuroni, aumentando l’efficienza del processo (respirazione mitocondriale) che produce questa energia. - Potenzia i sistemi antiossidanti, protegge dalla tossicità cerebrale -Riduce l’infiammazione cerebrale (detta neuroinfiammazione), modulando la produzione delle citochine infiammatorie, che sono le piccole molecole che il nostro corpo produce nel corso di un’infiammazione -Aumenta il flusso ematico cerebrale e promuove l’angiogenesi (il processo di formazione di nuovi vasi sanguigni) -Promuove neurogenesi e sinaptogenesi (rispettivamente, formazione di nuovi neuroni e nuove sinapsi, che sono nuovi collegamenti tra neuroni che migliorano le funzioni cerebrali) -Protegge dall’invecchiamento neuronale Il dispositivo - si sottolinea - per ottenere questi effetti biologici che vengono spiegati nel dettaglio durante la diretta, non stimola ma modula. Prevenzione e invecchiamento sano Con NIR Infrared si tengono allenati i neuroni, si aumenta l’ossigenazione cerebrale e si favorisce l’eliminazione di sostanze tossiche; tutto questo migliora al salute generale di uno degli organi più importanti del nostro corpo: il cervello. L’elenco dei centri che usano NIR Infrared Per rivedere il webinar CLICCA QUI
Autore: Cerebro Srl 28 lug, 2023
ll mondo del lavoro oggi ha un ruolo ingombrante nella vita di tanti. Tre le richieste continue di concentrazione, la necessità di stare al passo coi tempi, la responsabilità delle decisioni, la pianificazione dell’attività, la consapevolezza che dal proprio lavoro dipende la crescita di altri e poi stress, stress e ancora stress, non è difficile sentirsi schiacciati. Il livello di qualità, competenze, abilità ha l’asticella alta un po’ per tutti. Avvocati, insegnanti, medici, manager, recruiter, psicologi, dal mondo aziendale a quello dell’istruzione, da quello sanitario a quello sportivo. Il risultato è un sentimento diffuso di stanchezza in cui orbitano parole come burnout, quite quitting, great resignation. Secondo il report “State of the global workplace 2022” (di Gallup) solo il 14% dei dipendenti in Europa è coinvolto e soddisfatto sul lavoro. Come riprendere le redini della propria vita professionale salvaguardando il benessere mentale e fisico? Come riappropriarsi di un ruolo attivo e consapevole per affrontare il sovraccarico e lo stress? Il dottor Samorindo Peci , Direttore Scientifico della Scuola di Neuroscienze® spiega perché le Neuroscienze possono aiutare a farlo. Cosa c’entrano Neuroscienze e lavoro? Perché insegnano a lavorare meglio? Il punto di partenza è sempre lo stesso: la conoscenza. Le Neuroscienze studiano il funzionamento del cervello. Sapere quali meccanismi sottendono le relazioni, quali aree interagiscono nelle comunicazioni significa avere la possibilità anche di imparare a sfruttarle a proprio vantaggio. Che sia per conquistare e fidelizzare i clienti, per ottimizzare le risorse che si gestiscono o per imparare a gestire conflitti e stress, che sono poi tra le maggiori sfide del mondo professionale odierno. Quali sono le competenze da acquisire per chi vuole migliorare il proprio approccio lavorativo? Una essenziale direi, il carisma. Attraverso la strumentazione oggi si può vedere bene come reagisce l’organismo di fronte una persona carismatica, quali aree cerebrali attiva. Conoscere quanto si innesca significa capire, e di conseguenza imparare a sfruttarlo. Un altro aspetto fondamentale ritengo sia la capacità di negoziare, che – attenzione- è differente da quella di mediare. La negoziazione aziendale si può imparare: esistono delle precise tecniche di negoziazione, come per tutto servono teoria e pratica. Poi, c’è la comunicazione: quella verbale interagisce con quella non verbale e ci sono tecniche che aiutano a utilizzare questo a proprio vantaggio per una comunicazione efficace a più livelli nella catena di comando. Come? Il primo passo è la visualizzazione delle aree cerebrali che si attivano nella comunicazione ed è quanto si può fare attraverso la Spettroscopia NIRS, e cioè attraverso gli strumenti delle Neuroscienze. La conoscenza sgombera il campo anche da errati luoghi comuni. Ad esempio, avete presente il modello comune della percezione attraverso i 6 sensi? Ecco, è errato: i sensi sono 12 e sono anche doppi, è quindi rilevante conoscerne l’esistenza e le loro caratteristiche. Come? Ancora una volta, attraverso una sessione pratica di visualizzazione delle aree cerebrali attive nella comunicazione con spettroscopia NIRS. Non posso non citare i neuroni Specchio, un argomento a cui ho dedicato una grossa parte della mia ricerca. Conoscerli significa conoscere il nostro interlocutore al 90%. A quali domande rispondono le neuroscienze? Faccio alcuni esempi: quanti di noi sanno come modificare (letteralmente) un conflitto o come “non permetterne l’accesso”? Come evitare i conflitti? Come sviluppare le conoscenze individuali che chiamiamo doti? Questi sono alcuni esempi. È una materia immensamente affascinante. Io ritengo che ogni lavoratore dovrebbe sapere cosa rischia nello svolgimento della sua professione, stesso vale per chi fronteggia alti livelli di stress. Dovrebbe conoscere i rischi legati e questo per potere prendere le dovute precauzioni che ne riducano la portata. Ma tutto questo si può imparare anche senza saperne nulla di neuroscienze, medicina o scienze? Sì, esistono corsi per chi non sa nulla di questa materia. La nostra Scuola di Neuroscienze ad esempio ne ha avviato uno specificatamente a questo scopo, “ Le Neuroscienze in ambito manageriale ”. È pensato per professionisti provenienti da diversi ambiti che sentono il bisogno di cambiare rotta sul lavoro. Il corso, per le sue peculiarità, può rientrare nel piano di welfare aziendale. formazione.cerebrosrl.it
Autore: Cerebro Srl 26 lug, 2023
In questo webinar la dottoressa Federica Peci, psicologa esperta dell’area neuropsicologica e ricercatrice in Neuroscienze cognitive, spiega come funziona la fTMS™ PLUS, la biotecnologia di stimolazione con corrente elettrica sotto brevetto -nazionale e internazionale- Cerebro®. La fTMS™ PLUS è la biotecnologia successiva, in versione 2.0 – e potenziata - della fTMS™ Cerebro®. Il corpo macchina si presenta allo stesso modo della fTMS™ Cerebro®, con la medesima forma piramidale e come questa, non è vincolata da fonti di corrente elettriche esterne. Anche la fTMS™ PLUS è di piccole dimensioni e per questo maneggevole, versatile e adatta per terapie domiciliari. Inoltre, è stata realizzata al 96% con materiale riciclato. Una biotecnologia di stimolazione elettrica Ciò che è diverso è il tipo di stimolazione che utilizza: la fTMS™ PLUS è una biotecnologia di stimolazione elettrica. Entrando in questo ambito, come la dottoressa Peci precisa, è necessario subito sgomberare il campo da quel vecchio retaggio che ancora ci trasciniamo dietro: la corrente elettrica non ha nulla a che fare con l’elettroshock. La terapia elettroconvulsiva esiste ancora oggi ma viene eseguita solo in casi estremi e per alcune patologie. Le attuali tecniche di stimolazione cerebrale che sfruttano il campo elettrico utilizzano voltaggi molto bassi, massimo 2mA, e come dimostra la scienza migliorano le funzioni cognitive. Come funziona I nostri neuroni sfruttano elettricità per funzionare. In altre parole l’attività cerebrale è basata su impulsi elettrici tra neuroni. La fTMS™ PLUS effettua una stimolazione in grado di potenziare le connessioni cerebrali tra aree diverse, all’interno dello stesso emisfero. Qua sta la grande differenza rispetto alla fTMS™ Cerebro® che ha lo scopo di bilanciare due aree cerebrali corrispondenti site nei due emisferi diversi. Spetta al professionista sanitario, appositamente formato ed esperto nella riabilitazione cerebrale, decidere sulla base di sue valutazioni cliniche su quale emisfero lavorare. È rilevante a questo proposito, l’emisfero dominante, che è diverso per ognuno di noi. Scrivete con la destra o la sinistra? Calciate la palla da quale lato del piede? Con quale occhio vedete meglio? Se la maggioranza delle risposte a queste tre domande è “destra”, la propria dominanza sarà la parte sinistra. Lo scopo del trattamento di stimolazione con corrente elettrica è promuovere le abilità cerebrali perse in caso di patologia o potenziare le connessioni sovraccaricate da stress, in assenza di patologia e in caso di prevenzione sana. La corrente elettrica (a bassa intensità) permette ai neuroni di modificare il loro potenziale di membrana e creare quel potenziale d’azione necessario per far partire un impulso. Quando si usa La fTMS™ PLUS viene utilizzata per: -Disturbi di memoria -Disturbi del linguaggio o letto-scrittura -Disturbi del comportamento -Disturbi delle abilità visuo-spaziali Durante il trattamento si “allenano” le connessioni cerebrali Il professionista sanitario durante il trattamento, dopo aver scelto l’emisfero su cui lavorare (non manca quasi mai come primo posto di alloggiamento dell’elettrodo, la corteccia prefrontale, il nostro “grande giudice interiore” che programma a gestisce le attività quotidiane, compresa la regolazione delle emozioni), chiede al paziente in concomitanza di svolgere esercizi motori o di altro tipo per far sì che si determini l’allenamento neuronale che permette di promuovere le abilità cerebrali. Nessun effetto indesiderato Il trattamento con la fTMS™ PLUS non ha effetti indesiderati e ha dimostrato grande tollerabilità. Non è invasiva. I protocolli clinici di Cerebro sono validati scientificamente (attualmente si usano solo per gli adulti).
Autore: Cerebro Srl 18 lug, 2023
In questo webinar la dottoressa Federica Peci, psicologa, esperta dell’area neuropsicologica e ricercatrice in Neuroscienze cognitive, spiega come funziona la fTMS™, la biotecnologia brevettata da Cerebro di stimolazione magnetica transcranica. Di stimolazione magnetica se ne sente parlare sempre più spesso, soprattutto nell’ambito delle patologie neurologiche. Cerebro ha progettato una biotecnologia di stimolazione magnetica innovativa, brevettata a livello nazionale e internazionale come tale sia per la strumentazione in sé che per il suo principio di funzionamento: la fTMS™. Perché è innovativa Questa biotecnologia - certificata come elettromedicale - si differenzia dalle altre attualmente in uso in ambito ospedaliero per diversi aspetti. Il primo è il fatto che usa un magnetismo di tipo statico (a differenza di quello pulsante o rotante). (Questo tipo di magnetismo non lo ha inventato Cerebro. sia chiaro, c’è una grande mole di studi scientifici che lo riguardano). È un tipo di magnetismo più fisiologico, meno aggressivo, indolore (utilizza un campo magnetico impercettibile, non si sente niente) e non invasivo. Sono assenti effetti indesiderati. La biotecnologia Cerebro inoltre non si serve di corrente elettrica per funzionare: i componenti che producono il campo magnetico sono all’interno del corpo macchina. L’innovazione sta poi nella compattezza e dimensione dello strumento che il professionista sanitario può usare anche per le terapie domiciliari. Infine ha un plus: è realizzato quasi interamente con materiale riciclato (96%). In questo momento lo strumento si usa solo nella popolazione adulta, ma sono in corso studi per mettere a punto protocolli anche nella fascia di età più bassa. La struttura Si presenta come una piramide. La forma non è un caso: la struttura piramidale consente di convogliare il campo magnetico all’interno, in un processo di economia circolare. I magneti hanno una garanzia di 50 anni di funzionamento. La cuffia segue il Sistema 10-20. Ogni “bottoncino” sulla cuffia rappresenta un’area cerebrale. Come funziona La fTMS™ può essere definita una strumentazione che serve a riequilibrare gli aspetti dei nostri due emisferi cerebrali, destro e sinistro. Il nostro cervello, infatti, è strutturato con le stesse aree, a destra e sinistra. In alcune patologie si creano degli sbilanciamenti nella trasmissione di segnali elettrici tra i due emisferi. Ecco, il magnetismo statico serve a ribilanciare i segnali e a ripristinare il corretto equilibrio elettrico tra i due emisferi. Il magnetismo interagisce con il campo elettrico dei neuroni, producendo un cambiamento a livello del potenziale di membrana (all’interno del neurone stesso) che, a sua volta, produce il potenziale d’azione. “Noi funzioniamo grazie a potenziali elettrici e al potenziale d’azione, quindi grazie alle cellule che emettono questo picco di “onda elettrica” vera e propria che fa in modo che il segnale si propaghi da una cellula a tutte le altre, che ricordiamo non lavorano mai in maniera isolata”, come spiega Federica Peci. La biotecnologia di stimolazione magnetica statica, in altre parole, sfrutta l’area sana in un emisfero per aiutare l’area nell’altro emisfero che ha subìto un danno e che quindi non “lavora” più in modo adeguato, ripristinando gli aspetti elettrici. Un esempio (ben visibile grazie al neuroimaging) è nei Disturbi d’ansia, Disturbi dell’umore o nell’ambito delle Dipendenze, in cui si vede uno sbilanciamento nella corteccia prefronatale di sinistra rispetto a quella destra, cioè un’iperattivazione. Ecco perché sono tutti campi di applicazione in cui la stimolazione magnetica ha permesso di ottenere grandi risultati in termini terapeutici. A grandi linee si può dire che stimolando la corteccia prefrontale (il nostro grande “giudice interiore” che programma a gestisce le attività quotidiane, compresa la regolazione delle emozioni) si interviene sulle capacità attentive, di memoria, pianificazione etc. Se invece l’obiettivo è promuovere uno stato di rilassamento, si stimoleranno le aree occipitali. Durante il trattamento Si affianca la riabilitazione cognitiva o motoria per attivare le aree che si stanno stimolando, in modo anche da fortificare l’apprendimento cellulare. Questo, a meno che non si tratti di un soggetto sano che dunque non deve effettuare alcuna riabilitazione ma sta eseguendo un trattamento di stimolazione magnetica per una Prevenzione sana. Il campo di applicazione della fTMS™, infatti, non si limita alla riabilitazione neurologica (quindi in caso di ictus, traumi cranici, patologie neurodegenerative), ma è efficace nell’ambito della Prevenzione Sana e per il miglioramento delle capacità attentive come in caso di sovraccarico da stress. La durata del trattamento I trattamenti variano da caso a caso, a seconda delle condizioni di partenza. L’obiettivo è sempre quello di migliorare la qualità della vita. In genere, si parte con un ciclo di 10 sedute, poi con maggiori intervalli di tempo si effettuano nei centri specialistici, altre sedute di mantenimento. Tanti centri attualmente usano le nostre strumentazioni in Italia ( qui la lista dei partner del Progetto Cerebro).
Autore: Cerebro Srl 16 giu, 2023
Per fame, innanzitutto, ma anche per soddisfare il proprio fabbisogno energetico, restare in salute e, perché no, per piacere, convivialità. Sono questi i motivi che dovrebbero spingere ai pasti. Dovrebbero ma così non è. Si mangia infatti per noia, tristezza, rabbia, stress. L’elenco delle trappole è lungo quanto quello dei disturbi che ognuno di questi aspetti trascina inevitabilmente con sé. Le Neuroscienze oggi aiutano a chiarire alcuni dei meccanismi che sottendono al legame tra cibo e cervello e insegnano tanto anche in fatto di comportamento alimentare. Consumare i pasti senza distrazioni Prima di tutto, dicono gli esperti, tanto pesa l’attenzione che si presta al cibo quando si consuma un pasto. Le ricerche oggi confermano infatti che la distrazione interferisce con i segnali fisiologici di fame e sazietà. In altre parole si mangia di più quando lo si fa distrattamente, ad esempio guardando la tv, scrollando il telefono, leggendo un libro, non importa quello che effettivamente si fa nel mentre, il risultato è lo stesso. In uno studio del 2019 dei ricercatori brasiliani hanno chiesto a un gruppo di persone di fare una pausa snack in tre condizioni differenti: senza distrazioni, usando il telefono e leggendo un testo. Dai risultati è emerso che chi era distratto ha assunto circa il 15% di calorie in più rispetto al primo gruppo. «Una strategia da usare a tavola passa da un concetto oggi tanto di moda: il mindful eating» interviene Rosjana Pica, Biologa Nutrizionista, esperta di Neuronutrizione. «Si tratta di un approccio al cibo incentrato sulla capacità di porre la giusta attenzione e consapevolezza all’esperienza alimentare. Mangiare concentrandosi sull’atto permette al cervello di focalizzarsi sull’azione che si sta compiendo - spiega l’esperta -. Il comportamento alimentare è regolato da una parte del cervello che controlla ed elabora le informazioni relative ai bisogni energetici dell'organismo e quelle sulla disponibilità di cibo. In questa zona si stabilisce una comunicazione diretta fra i centri che controllano la vista e quelli che regolano l'appetito. Distrarsi durante il pasto non fa arrivare il giusto segnale al cervello che non recepisce che quello che stiamo consumando è un pasto completo e adeguato. Così, scambia il masticare distratto per un semplice spuntino. Il risultato? Siamo spinti a cercare altro cibo. Guardare il piatto invece è utile ad aiutare il cervello nella regolazione degli stimoli visivi e ad avere una consapevolezza maggiore di quello che si consuma». Allenare il gusto Basta concentrarsi sommariamente sull’esperienza del mangiare o serve un training? «Il nostri sensi vanno sempre allenati» risponde la dottoressa Pica. «Prendiamo ad esempio il gusto del salato: questo si affievolisce con l’uso eccessivo di sale. Bisogna quindi tenerlo allenato, dosando bene la sapidità dei piatti che consumiamo. Allo stesso modo si può pensare di allenare la nostra consapevolezza sugli alimenti che ci fanno bene e su quelli che generalmente sono meno salutari cercando di fare scelte alimentari consapevoli». Mescolare odori e sapori A proposito di scelte, cosa mettere sul piatto? Tra verdure e patatine fritte, ciambelle e insalata, il nostro cervello non avrebbe dubbi, come hanno dimostrato le ricerche. C’è un modo per affrontare positivamente la voglia di cibo? «La prima cosa da non fare è categorizzare un cibo come sbagliato. Più lo demonizziamo, più il nostro cervello lo vorrà consumare» osserva Rosjana Pica. «Nessun cibo è “cattivo” se mangiato con i giusti abbinamenti. Una strategia che consiglio è di utilizzare consapevolmente gli alimenti che piacciono, mescolando odori e sapori diversi. Perché privarsi di un piatto di pasta se è un cibo che dona gioia e soddisfazione? Concediamocelo, la pasta in bianco non è per forza più dietetica. Al contrario, arricchita con verdure (scegliamo quelle che più ci piacciono), spezie, erbe aromatiche e una fonte proteica otteniamo un salutare piatto unico. Riso venere con zafferano, tonno e zucchine, mantecato con un po’ di robiola al posto del burro oppure pasta integrale con ragù di pollo e crema di asparagi, magari con l’aggiunta di punte di asparagi croccanti per renderlo bello». Gli studi fatti con la risonanza magnetica Il comportamento del cervello di fronte al cibo è stato al centro di numerosi studi condotti attraverso la risonanza magnetica funzionale che ha evidenziato come certi stimoli attivano aree cerebrali collegate con le emozioni. «Queste emozioni (negative come paura o disgusto, o positive come felicità e piacere) condizionano le scelte alimentari e influiscono sul ricordo di un dato alimento. Oltre alle emozioni, nel rapporto con il cibo è fondamentale il sistema della gratificazione- prosegue l’esperta-. Attraverso sistemi complessi che regolano il meccanismo della ricompensa con la modulazione della plasticità neuronale, il nostro cervello memorizza l’effetto benessere. La molecola chiave di questo meccanismo è la dopamina che viene rilasciata a seconda della gradevolezza di un alimento. Si innesca così una nuova ricerca dello stimolo gratificante al ricordo emotivo o allo stimolo visivo, olfattivo, gustativo che lo evoca. Questo circolo vizioso, di cui fa parte anche il meccanismo della dipendenza, è normalmente tenuto sotto controllo dalla corteccia prefrontale. Per uscire da questo circolo vizioso è importante imparare a riconoscere i cibi ‘tentatori’ che si vogliono non per fame ma per gola. Se proprio non vogliamo rinunciarvi, concediamocelo ma tenendo a mente di assaporarlo lentamente in modo da attivare i meccanismi cerebrali descritti. Imparare ad ascoltare il proprio corpo e i segnali che invia è una delle strategie più efficaci per aprirsi a una maggiore consapevolezza alimentare. Tutto questo aiuta a recuperare un rapporto sano e sereno con il cibo».
Autore: Cerebro Srl 12 giu, 2023
Ma cosa significa fare innovazione? E come fa un’azienda a conquistare il prestigioso titolo di impresa innovativa? Lo abbiamo chiesto a chi ha esperienza sul campo: Federica Peci, ricercatrice in ambito neuroscientifico, è fondatrice e CEO di Cerebro® , azienda Innovativa di dispositivi medicali per la neuroriabilitazione cerebrale, premiata lo scorso mese, con una cerimonia ufficiale alla Camera dei Deputati, con il Premio America Innovazione, il prestigioso riconoscimento internazionale destinato agli innovatori artefici delle migliori aziende e startup italiane. Nel 2019 la fTMS , il dispositivo di stimolazione magnetica transcranica progettato da lei e dal suo team e brevettato come innovativo, aveva già vinto il premio “Genio e Impresa”, conferito dalla Regione Lombardia e dal Politecnico di Milano. È stata insignita della Menzione speciale “Implementazione team multidisciplinare” dall’Associazione Donne Inventrici e Innovatrici e oggi è depositaria di 4 brevetti e 2 idee industriali. La definizione di innovare la conosciamo: modificare introducendo elementi di novità; modernizzare; creare un cambiamento positivo nello stato di cose esistente; alterare l’ordine delle cose stabilite per far cose nuove. Come si fa? «Per innovare servono diverse cose, forse la prima è essere un po’ visionari, che non significa ‘sognare’ ma non accontentarsi. Il mio percorso ad esempio è iniziato stando a contatto giornalmente con i pazienti con patologie croniche del sistema nervoso centrale. Mi sono resa conto dei gravi limiti dei percorsi di riabilitazione che seguivano e da lì ha preso sempre più piede l’idea di sfruttare le mie conoscenze per sviluppare dei protocolli riabilitativi individualizzati che andassero oltre i protocolli standard, e progettare delle biotecnologie che permettessero tutto questo. Ecco, l'innovazione richiede il coraggio di rompere con il consueto e una visione del futuro. Significa saper individuare con anticipo nel proprio settore cosa manca e realizzare soluzioni o idee che non sono ancora state applicate o migliorare quelle che già sono utilizzate. Dunque servono conoscenza, ricerca, saper utilizzare la tecnologia e anche saper collaborare e comunicare, lavorare con altri. Non c’è niente di più sbagliato di pensare di potere fare tutto da soli, perché l'innovazione non è l’idea geniale di uno, ma una sfida che riguarda tutta l’azienda e il suo team». Qual è il percorso “pratico” che deve compiere un’azienda per mantenere i requisiti di innovazione ed essere elencata nel Registro delle Imprese Innovative? «I criteri da rispettare sono i 3 caposaldi dell’Innovazione. Il primo è vantare nel proprio organico personale altamente specializzato; il secondo, investire almeno il 15-20% del proprio fatturato in Ricerca e sviluppo; il terzo, avere depositato almeno un brevetto industriale». Come si ottiene un brevetto? «Attraverso una lunga trafila. Lunga, anche dal punto di vista dei tempi, non solo della ricerca. Basti pensare che per la fTMS Cerebro ho depositato la richiesta nel 2020 ed è stata accettata nel 2023. Ci sono poi tantissimi criteri da rispettare: lo strumento deve essere descritto nei minimi dettagli e il più accuratamente possibile, deve essere il primo in assoluto e non avere somiglianze con altri brevetti già depositati. Poi ci sono diverse selezioni a maglie strette da superare da parte di Commissioni scientifiche molto rigorose che possono richiedere di modificare alcuni aspetti o di rispondere a delle contestazioni». Che differenza c’è tra brevetto nazionale e internazionale? «Il brevetto garantisce la tutela del prodotto. Contrassegnare un'invenzione con un brevetto significa assicurarne la priorità e l'esclusiva. Perché ciò accada c’è anche un costo da pagare ogni anno e per ogni Paese. Facendo un rapido calcolo, per darne un’idea, se si vuole tutelare un progetto in tutta Europa il costo ammonta a circa 5000 euro l’anno. Un bell’investimento per un’azienda». Quando ci si può fermare? «Mai (ndr. ride). È un lavoro che non finisce, ogni impresa per essere competitiva è chiamata continuamente a fare i conti con la realtà che la circonda. Nel caso dell’innovazione in ambito neuroscientifico significa fare attenzione ai bisogni dei propri pazienti, dei sanitari che usano le biotecnologie, e non ultimo del mercato, modularsi in base a tutto questo. Serve correre dei rischi e accettare la continua sfida di cambiare».
Autore: Cerebro Srl 12 mag, 2023
La luce è all’origine della vita stessa. Il suo studio ha portato nel tempo scoperte che hanno rivoluzionato la società e ogni campo della scienza. Anche per questo l’Unesco ha istituito una Giornata per celebrarla, la Giornata Internazionale della Luce, un momento per sottolineare il ruolo che svolge nella scienza, nella cultura, nell'arte, nell'educazione, nello sviluppo sostenibile, nella medicina, comunicazione ed energia. Oggi le tecnologie che se ne servono hanno un ruolo chiave anche in ambito neuroscientifico, dalla diagnostica al monitoraggio fino al trattamento avanzato. Ne parliamo con il dottor Pier Michele Mandrillo che nel suo studio medico in provincia di Taranto ne sfrutta le sue proprietà quotidianamente per migliorare la qualità della vita dei suoi pazienti e dei loro caregiver. Per cosa impiega la luce nella sua attività professionale? «Utilizzo da anni la terapia fotonica per i molteplici vantaggi che è in grado di apportare. J.A. Parrish, diceva che la light therapy e i devices con LED (Light Emitting Diode) stanno alle tecnologie come la musica sta al rumore, mi sembra un’ottima metafora che tira dritto al punto. Negli ultimi anni l’interesse per la medicina biofotonica e l'applicazione della terapia della luce sono diventate una forza trainante in molte aree della Medicina in generale e della Medicina rigenerativa e di precisione in particolare. I diversi tessuti del corpo umano assorbono energia da diverse lunghezze d'onda dell'energia luminosa e, conseguentemente, interagiscono con i fotoni emessi dalle varie sorgenti luminose e rispondono generando essi stessi biofotoni. Nella mia attività professionale quotidiana di Medico chirurgo, Odontoiatra e Medico estetico, la terapia con la luce risulta essere un'opzione terapeutica non invasiva preziosa per il trattamento dei problemi della pelle, per il miglioramento dei processi di guarigione in Dermatologia estetica e Medicina estetica (si pensi all’attivazione dei fibroblasti dermici e alla stimolazione della neocollagenogenesi); in Chirurgia Maxillo-Facciale (neoangiogenesi ed osteogenesi), Odontoiatria (attivazione dei fibroblasti gengivali e guarigione dei tessuti molli orali nella Malattia Parodontale). E ancora, Implantologia Dentale (potenziamento della osteointegrazione degli impianti dentali al titanio, miglioramento della qualità e quantità dei tessuti osseo e dei tessuti molli perimplantari, miglioramento della perimplantite fino alla guarigione). Un elenco lungo, come si legge. Non da ultima è l’efficace applicazione nelle problematiche cerebrali e neurorigenerative, dove ancora una volta, i campi di applicazione si spalmano in un elenco altrettanto lungo, dalla riduzione della depressione alla rigenerazione neuronale. È per questo che da oltre 15 anni investo nella terapia della luce nel rosso e nel vicino infrarosso nella mia attività professionale». È diverso l’uso della luce in ambito neuroscientifico. In questo caso si parla di Fotobiomodulazione transcranica. Cosa l’ha spinta a inserire la Fotobiomodulazione transcranica di Cerebro tra le sue strumentazioni? «La Fotobiomodulazione transcranica induce l'attivazione delle cellule nervose, determina un effetto positivo sul metabolismo delle cellule nervose, stimola i processi di rigenerazione nervosa nelle malattie neurodegenerative, come Malattia di Alzheimer, Morbo di Parkinson, Sclerosi Multipla. Da medico e ricercatore aprire le porte alla tecnologia Cerebro è stata poi l’opportunità di poter essere un componente attivo di un team di professionisti con vision e mission ben chiare, dettate ed orientate da evidenze scientifiche internazionali. Mi ha entusiasmato la possibilità di poter impiegare tecnologie certificate, implementate e condivise, da proporre a miei pazienti per la riduzione della neuroinfiammazione, il miglioramento cognitivo, generale e relazionale, con trattamenti sia ambulatoriali che domiciliari, nella convinzione -etica, deontologica e professionale- di poter contribuire al reale miglioramento della loro salute e della qualità di vita e dei loro caregivers».
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